Possiamo datare con l’inizio degli anni ’80 il periodo in cui per la prima volta nei supermercati si notano la creazione di scaffali con dicitura “senza glutine”, di solito affiancati ai prodotti biologici, inizialmente pochi prodotti, ma in seguito con il passare degli anni è aumentata la superficie e la metratura di scaffali gluten free. Si è così iniziato a fare fronte alle particolari richieste di alcuni cittadini che si dimostravano allergici al consumo di glutine presente nei cereali in generale.
La vivacità delle vendite di prodotti senza glutine ha stimolato tutta la filiera a produrre un numero crescente di prodotti gluten free, interessando anche il settore della ristorazione, con la creazione di menù per celiaci, anche nelle librerie iniziano a comparire i primi ricettari esclusivamente con prodotti senza glutine.
La platea di persone che acquista senza glutine è così cresciuta e si è variegata, questi hanno la scelta forzata di acquistare dei prodotti senza glutine che contengono una maggiorazione di prezzo attorno al +70% rispetto al costo di un prodotto normale, includendo anche la condizione di sensibilità al glutine non celiaca.
Già nei primi anni del ventunesimo secolo, nel settore primario dell’agricoltura si è registrata una nuova domanda di grano senza glutine in opposizione al cosiddetto “grano moderno” troppo ricco di glutine che richiede una digestione più complessa che alla fine sfocia nell’intolleranza.
Dal punto di vista medico negli ultimi anni compaiono le nuove patologie legate al glutine, tra le tante segnaliamo la “sensibilità al glutine non celiaca” capace di affliggere una stima dell’1% della popolazione. Viene così coniata la nuova terminologia di Gluten Sensitivity, ovvero la sensibilità al glutine, la quale si ottiene con il principio di esclusione, se l’esame del sangue e la biopsia dell’intestino danno esito negativo, ed è stata appurata l’assenza dell’allergia del grano, allora si cataloga il caso come un Gluten Sensitivity.
